Come vivono oggi i singalesi, gli abitanti dello Sri Lanka?
La domanda è un po’ complessa perchè, come spesso accade in zone del sudest asiatico piuttosto che in Africa, non c’è quella uniformità cui siamo abituati sia a livello economico che di abitudini.
Qui si va da un estremo all’altro.
A Colombo, la capitale, lo stile di vita ed anche il costo della vita stessa, sono ormai pressochè uguali (o perlomeno molto simili) a quelli occidentali. Tanto per fare un esempio molto esemplificativo, basti dire che le ragazzine si truccano, bevono alcolici e fumano. Insomma, libertà a tutti gli effetti.
Se ci spostiamo nelle campagne la situazione cambia radicalmente. E non si parla di migliaia e migliaia di km, anzi... Giusto per darvi l’idea, l’intero Sri Lanka è un’isola che misura 433 km in lunghezza e 244 km di ampiezza.
Fare un giro nelle campagne dello Sri Lanka è come fare un salto indietro nella storia.
Nella fitta foresta singalese le persone vivono in villaggi. Più che di veri e propri villaggi, in realtà, si tratta di nuclei famigliari (marito, moglie con bambini + i nonni, questa la composizione standard) che si autosostengono.
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Escursione in un villaggio singalese
Per meglio conoscere le tradizioni, gli usi e i costumi di un tipico villaggio singalese, in Sri Lanka, soprattutto sulle strade da e per Sigiriya, Polonnaruwa, e Dambulla, insomma lungo le strade più battute dai turisti, si trovano ogni pochi metri cartelli che indicano “Adventure Experience”.
Il nome è un po’ fuorviante…
Altro non è che la visita guidata in un villaggio singalese.
Certo, lo sapevamo fin dall’inizio che si tratta di un'esperienza confezionata a tutto punto “ad uso e consumo” turistico. Ma abbiamo comunque deciso di partecipare all’esperienza e, alla fine, siamo rimasti soddisfatti perchè si è rivelata un’esperienza abbastanza veritiera, e soprattutto abbiamo avuto modo di toccare con mano la vera cultura locale e rapportarci direttamente con persone del posto. Cosa che, per noi, è fondamentale in ogni viaggio!
Sì, certo, abbiamo pagato il ticket all’ingresso e anche piuttosto caro, €12,50 a testa, ma poi il tutto si è svolto in una realtà vera, non in una sottospecie di museo del folklore. Siamo proprio stati “a casa” di una famiglia.
Inizia il tour. A bordo strada, una volta pagato il ticket, abbiamo effettuato un tragitto di circa un paio di km su una carretta di legno trainata da una vacca, esperienza piuttosto scomoda ma divertente. Arrivati quindi sulle rive di un fiume ci siamo abbiamo preso posto su una tipica imbarcazione singalese, manovrata a remi da un simpatico “marinaio/pescatore”. Il percorso è stato pacifico e rilassante: abbiamo navigato lenti e placidi su acque calme attorniati dalla lussureggiante natura del posto e dal solo rumore prodotto da uccelli e cicale. Abbiamo anche visto un coloratissimo martin pescatore!
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Una volta approdati abbiamo raggiunto la capanna dove siamo stati accolti da due gentilissime ragazze, cui poi si è aggiunto un incuriosito signore anziano con una bellissima bambina al seguito.
Ci è stata mostrata la routine quotidiana di una donna di casa singalese.
La pulitura del riso, che avviene ancora rigorosamente a mano, mediante un grande mortaio; la macinatura dei chicchi di miglio per ottenere la farina con una macina, inutile dirlo, manuale; la lavorazione del cocco per ottenere il latte.
Ingredienti base alla mano, ci spostiamo nella vera e propria cucina: una lastra di pietra dove farina di miglio, cocco grattuggiato, acqua e latte di cocco vengono lavorati. Con l’impasto ottenuto si formano delle mini piadine chiamate Roti, una specie di tortilla che somiglia al roti indiano (ma meno grasso) e al chapati africano.
Le pagnottelle vengono appiattite e cotte su una piastra ben calda. Mentre il pane cuoce, sempre sulla lastra viene preparata una salsa con cubetti di pomodoro fresco, cipolla tritata, aglio, peperoncino, succo di lime e un pizzico di sale. Si ottiene una salsa piccante per accompagnare le piadine caldissime.
Et voilà, il pranzo è servito su un piatto costruito con una foglia di banano. E il tutto è accompagnato dall’onnipresente thè e concluso con gustosissime banane e fettine di cocco.
Dopo pranzo scambiamo qualche parola con le nostre gentili ospiti, davvero 2 parole in croce perchè l’inglese è proprio stentato… Diamo un'occhiata nei dintorni, osserviamo la magistrale tecnica con cui è costruita la capanna e facciamo incontri ravvicinati con la fauna locale. Ci viene spiegato che chi vive così sostanzialmente si autosostiene. Attorno alla capanna c’è il pozzo, l’orto per la verdura, le piante di cocco e di banana, le galline per carne e uova.
Queste persone non sanno neppure come sia fatta una vera città! Il massimo della modernità che si concedono è recarsi nel mercato più vicino (una volta al mese circa) per acquistare prodotti che non possono coltivare e vestiario di base.
Alla fine, un baldo giovane arriva a bordo del suo tuk-tuk e ci riporta al punto di partenza a bordo del più tipico mezzo di trasporto diffusissimo in tutta l’Asia.
La visita di un villaggio singalese è un’esperienza che val la pena fare.
Sarà anche ormai sfruttata come fonte di guadagno turistica ma è organizzata così bene che è un vero e proprio piacere.
Un paio d’ore trascorse in un clima rilassante e famigliare. Ed è stato davvero interessante vedere l’abilità di queste donne nel compiere azioni e gesti che, ai nostri occhi, possono parere quasi arcaici!
Immaginavate che ai giorni nostri ci fossero popolazioni che vivessero ancora in questa maniera? Sorprendente, vero?